The flow, l’esperienza di flusso
Vi è mai capitato di essere talmente concentrati da non accorgervi del passare del tempo? Vi siete mai sentiti così coinvolti in un’attività da entrare in una sorta di trance? Se la riposta è sì, probabilmente avete conosciuto il “flow”.
Il concetto di flow (anche definito “esperienza di flusso” o “esperienza ottimale”) è stato molto trattato negli ultimi anni, principalmente in Psicologia dello Sport. In realtà, i primi studi a riguardo risalgono agli anni ’70, grazie al lavoro svolto da uno psicologo di origine ungherese dal nome impronunciabile, Mihály Csíkszentmihályi.
Il flow è quel tipo di esperienza nella quale ci sentiamo profondamente a nostro agio, totalmente immersi in ciò che stiamo vivendo, in una sorta di lieve stato alterato di coscienza. Si prende parte a un’attività e senza rendersene conto è passato un sacco di tempo; si sta svolgendo un compito e il mondo intorno è come se sparisse.
Quando siamo coinvolti nel flow possiamo rendere al massimo, poiché tutte le nostre risorse sono rivolte a quanto stiamo facendo (da qui il concetto di “esperienza ottimale”). La mente e il corpo risultano quanto mai fusi, alleati e diretti al compito, tralasciando tutto ciò che al momento non sia utile.
Nello sport, la condizione di flow viene spesso ricollegata alle prestazioni eccezionali, ovvero quei momenti in cui l’atleta appare instancabile e fornisce una prestazione sopra alla media.
Dopo esperienze simili, gli atleti solitamente raccontano di essersi sentiti inarrestabili, concentrati nel presente e che tutto sembrava riuscire in maniera fluida e naturale. Comunemente, si dice che l’atleta era on fire, in the zone, in trance agonistica o semplicemente in giornata.
Un classico racconto di esperienza di flusso è quello di Ayrton Senna, a seguito di un Gran Premio di Monaco: “Ero già in pole e continuavo ad andare sempre più forte… Improvvisamente ero quasi due secondi più veloce di chiunque altro, compreso il mio compagno di squadra con la stessa macchina. E improvvisamente ho realizzato che non stavo più guidando la macchina coscientemente. La stavo guidando attraverso una specie di istinto, solo che ero in una dimensione differente. Era come se fossi in un tunnel”.
Effettuare un giro in F1, calciare tra i pali, percorrere 10 km, sparare ad un piattello, battere un rigore, effettuare un tiro libero. Dopo tanto allenamento, dopo tante prove, il corpo sa cosa fare: la tecnica è stata appresa, lo schema archiviato nella nostra memoria implicita. Accade cioè quello che viene definita “ipofrontalità transitoria” (Dietrich, 2011): il nostro cervello “disattiva” alcune parti non fondamentali per la prestazione (nello specifico, riduce l’attività della corteccia prefrontale) diminuendo il controllo cognitivo, lasciando il corpo libero di agire ed eseguire.
In allenamento è piuttosto semplice. In gara, invece, diventa tutto più complesso, poiché subentra il pensiero razionale (pensieri negativi, preoccupazioni, automonitoraggio continuo…) e il corpo non è più libero di eseguire quanto provato e riprovato in allenamento. Provate (anzi, non lo fate!) a guidare riflettendo attentamente su ogni azione che state compiendo: alzo il piede dall’acceleratore, premo la frizione, cambio la marcia, allento la frizione, accelero, giro il volante… Diventa molto più difficile, no?
Nel flow il movimento è invece spontaneo, fluido, quasi primordiale. Nel suo racconto, Senna lo definisce “istinto”.
Ma quali sono gli elementi indispensabili per entrare nel flow? Non esistono istruzioni certe, né un metodo infallibile; si possono però riscontrare alcune condizioni favorevoli:
– innanzitutto, la presenza di un obiettivo con determinate caratteristiche: deve essere raggiungibile ma al contempo sufficientemente complesso da risultare sfidante (so che posso raggiungerlo, ma devo dare il mio meglio).
– il compito deve rappresentare qualcosa di importante, attraente e stimolante. Alla base deve esserci una motivazione intrinseca, non dettata quindi dall’esterno.
– L’attività svolta deve risultare piacevole e gratificante di per sé.
– Nel flow non ci sono distrazioni, non c’è passato né futuro. Esiste solamente il presente, e l’attività in cui si è immersi. Un livello di concentrazione che consente di eliminare tutto il resto, focalizzando tutte le risorse sulla prestazione.